mercoledì 16 dicembre 2015

LA SCUOLA NEL BOSCO



OH! ADESSO SI CHE SI COMINCIA A RAGIONARE!! 
Finalmente un pò di sana intelligenza che rompe gli schemi di un modello educativo troglodita, volto a rendere gli uomini e le donne di domani degli schiavi separati dalla loro forza vitale. Leggete questo articolo e poi, se vi piace l'idea, spargete il verbo. Che scuola all'aperto sia, non solo nell'evoluto Trentino o in poche altre sparute realtà. Siamo pronti per il cambiamento di paradigma!   

I bambini di Besenello hanno un'aula in più per fare lezione. Strano, si dirà, dato che non ci sono stati lavori alle elementari, non si sono visti operai muoversi tra i corridoi. Ed è vero, perché dei lavori ci sono stati sì, ma nel bosco.
Le elementari di Besenello, e anche tutto il paese, avranno dall'anno prossimo un'aula nel bosco. Una radura, ripulita, di fronte a castel Beseno, sta diventando una vera e propria aula all'aperto, dove tutti gli insegnanti della scuola primaria di Besenello potranno venire a far lezione. Si potrà insegnare la scienza, la natura, ma anche qualsiasi materia potrebbe essere insegnata tra gli alberi e all'aria aperta. L'idea dell'"aula nel bosco" è partita da alcuni maestri della scuola e dall'amministrazione comunale, che hanno visto subito l'utilità di una radura sulle prime pendici del monte Mosna, a lato della strada che sale al castello. L'idea ha visto subito l'appoggio della dirigente dell'istituto comprensivo, Daniela Depentori.
Il luogo si raggiunge in venti minuti circa dal paese: una distanza ideale per venire a fare delle lezioni. In questi giorni si è creato un vero e proprio gruppo di volontari, composto da genitori, maestri, alcuni giovani e anche il sindaco, che hanno ripulito l'area. La forestale aveva già predisposto la zona, ripulendola, e ha fatto anche una sorpresa. Con un piccola "spuntatina" di alcune piante, hanno creato una finestra che guarda direttamente verso il castello. I bambini così avranno di fronte a sè, d'infilata, alle spalle dell'insegnante, il colpo d'occhi del maniero simbolo di Besenello.
Nella parte alta dell'aula c'è una risalita, dove verranno collocate delle sedute fatte con dei tronchi di larice. Lì i bambini potranno sedersi per seguire la lezione. Sul retro i forestali hanno piantato alcune decine di piante di vario tipo, agrifoglio e gincobiloba compresi: un piccolo museo. E poi I posti a sedere saranno alcune decine, e potenzialmente l'aula nel bosco potrà accogliere una cinquantina di persone, anche di più se in piedi nel bosco circostante.
Ed infatti il luogo non sarà riservato solo alla scuola, ma sarà a disposizione di tutto il paese. Le associazioni potranno programmarvi eventi, concerti, incontri. Per l'inaugurazione si pensa ad una settimana di eventi durante la primavera, con concerti, giochi, incontri. L'aula è raggiungibile a piedi dal paese salendo per la strada diretta al castello, deviando poi per uno stretto sentiero. Sul retro, poco distante, si trovano i valli paramassi realizzati di recente, dove arriva una strada forestale.
In caso di eventi e manifestazioni, quindi, si potrà salire con dei mezzi fino nei pressi della radura.

martedì 27 ottobre 2015

RESPIRARE LA STORIA

Leumann

 un villaggio da fiaba alle porte di Torino


Il villaggio Leumann è un quartiere operaio del comune di Collegno, alle porte di Torino, costruito alla fine dell’Ottocento per volere di Napoleone Leumann, importante imprenditore di origine svizzera. Il villaggio è uno splendido esempio di edilizia industriale trasformata in arte e completamente integrata nel territorio circostante. Leumann pensò di far costruire un complesso residenziale intorno al suo Cotonificio, grande e prestigiosa azienda dell’epoca, per la manodopera specializzata che vi lavorava. Così, l’imprenditore svizzero, commissionò all’ingegner Pietro Fenoglio questo complesso residenziale realizzato tra il 1875 e il 1907. Il complesso, in stile liberty, fu costruito su un terreno di oltre 60.000 metri quadrati con una sessantina di edifici divisi in 120 alloggi abitativi.

Successivamente alla crisi degli anni ’70 il cotonificio Leumann chiuse e si temette il peggio per questo splendido complesso residenziale. Fortunatamente gli immobili divennero proprietà del comune di Collegno che si fece garante della salvaguardia di questo borgo e dell’assegnazione delle case rimanenti secondo le norme dell’edilizia popolare.Oggi il villaggio è ancora abitato da alcuni operai del Cotonificio Leumann e da un altro centinaio di famiglie a cui sono state assegnate le abitazioni.

Nel corso degli anni sono stati fatti numerosi lavori di restauro che hanno portato alcuni edifici al loro antico splendore. All’interno del villaggio Leumann si trovano una stazione d’epoca (la Torino – Rivoli), la Chiesa di Santa Elisabetta in stile eclettico (Leumann ne commissionò la costruzione per i suoi operai, nonostante lui fosse di religione calvinista),la vecchia scuola elementare (Leumann l’aveva fatta costruire per i figli degli operai del cotonificio fermamente convinto che l’istruzione fosse un elemento fondamentale anche per avere buoni operai) e tanti altri edifici storici in stile liberty.

Entrare nel villaggio Leumann è come fare un salto indietro nel tempo in un posto davvero incantato costruito a misura d’uomo senza dimenticare la necessità di essere circondati dalla bellezza. Un posto magico dove si respira un’idea diversa di impresa e di relazioni tra gli uomini, operai ed imprenditori. Si tratta di un concentrato di storia, arte, cultura e vita quotidiana. Non lasciatevi scappare la possibilità di vedere le piccole e bellissime case con giardino, la chiesetta, la piccola stazione e i negozi.

Numerosi sono le iniziative culturali, sociali e ricreative proposte dall’Associazione Amici della Scuola Leumann, un ente no-profit nato per salvaguardare e valorizzare il territorio. È inoltre possibile effettuare delle visite guidate al villaggio, accompagnati da una delle guide dell’Associazione per scoprire la storia ed i segreti di questo luogo da fiaba.

Interessante vero?
Per le informazioni pratiche (orari, visite guidate) riporto il sito da cui è tratto l'articolo:


http://www.guidatorino.com/leumann-un-villaggio-da-fiaba-alle-porte-di-torino/



mercoledì 21 ottobre 2015

RIEQUILIBRIO FAI DA TE

Guarda questa immagine: ad ogni dito della mano corrisponde, secondo la medicina cinese, un organo e relativa emozione. Attraverso la stimolazione dei meridiani associati, collocati sulle dita, sarebbe possibile riequilibrare l'energia fisica ed emozionale.
Tecnica (di origine giapponese, si chiama Jin Shin Jyutsu):
"...avvolgere il dito correlato all’emozione che si desidera calmare o all’organo che si vuole riequilibrare, con tutte le dita dell’altra mano. Come un caldo abbraccio, si preme delicatamente per 3-5 minuti, respirando profondamente. Poi si passa alla mano opposta. E per un riequilibrio e un’armonizzazione di tutto il corpo, si possono avvolgere tutte le dita con l’altra mano."
Facile no? Perchè non provare?  
Come giustamente osserva la fonte http://www.generazionebio.com, "Pensiamo ai bimbi piccoli, che trovano conforto succhiandosi il pollice. Oppure all’abitudine di alzare il dito medio quando si vuole manifestare rabbia. Nulla è mai casuale."
Oltre a manipolare energeticamente il corpo attraverso i meridiani, questa tecnica ci aiuta a riconnetterci con noi stessi e osservare il nostro stato psico/fisico ed emozionale, per poter trasformare qualcosa. Questo è l'obbiettivo primario a cui è utile per tutti dedicarsi, magari la sera, come monitoraggio e tecnica di purificazione prima del riposo. 
Legenda
POLLICE
Emozioni/Attitudini: preoccupazione, depressione, ansia
Organi: stomaco, milza
Sintomi fisici: mal di stomaco, mal di testa, problemi alla pelle, nervosismo
INDICE
Emozioni/Attitudini: paura, confusione mentale, frustrazioneOrgani: reni, vescica
Sintomi fisici: problemi digestivi, dolore a polso, gomito, indolenzimento dell’avambraccio, dolori muscolari e alla schiena, problemi a denti e gengive, dipendenze
MEDIO
Emozioni/Attitudini: rabbia, irritabilità, indecisione
Organi: fegato, cistifellea
Sintomi fisici: problemi agli occhi e di vista, stanchezza, emicrania, mal di testa frontale, crampi mestruali, problemi circolatori
ANULARE
Emozioni/Attitudini: tristezza, paura del rifiuto, afflizione, negatività
Organi: polmoni, intestino crasso
Sintomi fisici: problemi digestivi, disturbi respiratori (asma), fischio alle orecchie, disturbi della pelle in profondità
MIGNOLO
Emozioni/Attitudini: ostinazione, stimolo a strafare, bassa autostima, insicurezza, giudizio, nervosismo
Organi: cuore, intestino tenue
Sintomi fisici: problemi ossei o nervosi, patologie cardiache, pressione sanguigna, mal di gola, gonfiore


sabato 16 maggio 2015

PARTORIRE IN NATURA (in tutti i sensi)




Io ho partorito 21 anni fa. In casa. E' stato lungo, ma lo rifarei. La dolcezza di accogliere mio figlio in un ambiente familiare, sereno e non medicalizzato, la libertà di vivere il momento più intenso della mia vita seguendo solo i ritmi del mio corpo, ha reso l'esperienza magica e mi ha consentito di riprendere il contatto con qualcosa di autenticamente profondo: la mia natura divina.
Questa, la mia testimonianza. 
Per chiunque voglia approcciarsi, anche in Umbria si può:  leggi qui


mercoledì 8 aprile 2015

LA LEGGE DEL PIU' FORTE

PERCHE' IN ITALIA TUTTI HANNO PAURA DELLA POLIZIA


E' il titolo dell'articolo di Luigi Manconi, a seguito delle sanzioni che l'Unione Europea ha applicato all'Italia per le violenze perpetrate dai poliziotti alla Diaz di Genova nei giorni del G8. 
Non commento, è inutile. Che ognuno legga e valuti.

A volte, come per miracolo, la letteratura giuridica, specie nei suoi elaborati internazionali, raggiunge vette di nitore assoluto. E la limpidezza delle formulazioni assume una esattezza matematica. Tale è il caso della definizione che si trova nell’articolo 1 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 e ratificata dall’Italia nel 1988. Leggiamo quelle parole:
Il termine ‘tortura’ indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate.
C’è tutto in questa definizione. Ma si noti, in particolare, la rilevanza data a quelle che vengono dette “sofferenze mentali”, dove si ritrova l’intera storia degli universi concentrazionari creati dai dispotismi del novecento; e l’uso antiumano delle moderne discipline della psiche, piegate a strumenti di coazione e di annichilimento della personalità.
Le lesioni fisiche precedono, accompagnano e seguono le parole e gli atti che mirano a coartare o a manipolare la volontà del torturato e a mortificarne la dignità. Ma vivono, quelle violenze “mentali”, anche di una loro autonomia: ovvero non necessitano del parallelo ricorso alla costrizione fisica per risultare efficaci.
Quel termine appena sopra ricordato – dignità, appunto – corre sotterraneo tra le righe della definizione di tortura prima citata e diventerà, negli anni successivi, pietra angolare e cartina di tornasole nell’intero dibattito contemporaneo sui diritti fondamentali e sulla loro violazione.
La domanda a questo punto ineludibile è: perché tutto questo non vale per il nostro paese? Perché l’Italia, dopo ventisette anni dalla ratifica della convenzione dell’Onu, non ha ancora introdotto nell’ordinamento il reato di tortura? La prima risposta è semplicissima. Perché la società italiana nel suo complesso – classe politica compresa – ha paura della polizia. Sì, è proprio così. Non teme le forze di polizia in quanto strumento di repressione della illegalità e del crimine e in quanto titolari esclusivi del monopolio legittimo della forza. Se così fosse, ad averne timore sarebbero solo coloro che vivono nella illegalità e nel crimine (tutto sommato una piccola percentuale di cittadini).
Il fatto grave, che spiega tante cose e anche la mancata introduzione del reato di tortura, è che resiste nel paese, e nei suoi gruppi dirigenti, una forma diffusa di preoccupazione non per ciò che le polizie, in nome e in forza della legge, possono compiere, ma per ciò che possono compiere contro la legge.
È come se la classe politica, in particolare, non si fidasse della lealtà delle polizie, dubitasse della loro dipendenza in via esclusiva dalla legge, ne temesse le reazioni incontrollate. Da qui, una sorta di complesso di inferiorità e di sudditanza psicologica che pone come prioritario l’obiettivo della stabilità e della compattezza delle stesse forze dell’ordine, anche quando ciò vada a discapito della correttezza e della piena legalità del loro agire. Si tratta di un meccanismo micidiale che alimenta lo spirito di corpo e impedisce la trasparenza, che rafforza le tendenze all’omertà e ostacola qualunque processo di seria autoriforma.
Non si spiega altrimenti l’opposizione da parte dei membri delle forze di polizia e dei loro sindacati e, forse ancor più, da parte dei ministri dell’interno, della difesa e di tanti esponenti politici, all’introduzione del reato di tortura e del codice identificativo per gli operatori di polizia in servizio di ordine pubblico (misure adottate nella gran parte dei paesi europei).
Come non capire che tortura e codice identificativo sono dispositivi a tutela del prestigio del corpo e dell’onore della divisa e contro quegli uomini in divisa che disonorano il corpo cui appartengono? È interesse, in primo luogo delle polizie, partendo dall’assunto che la responsabilità penale è personale, far sì che gli autori di illegalità e violenze siano individuati e sanzionati in maniera adeguata allo scopo di distinguerli nettamente dalla gran parte dei loro colleghi che, di illegalità e violenze, non si son resi in alcun modo responsabili.
Come non capire che negando la possibilità di individuazione e di sanzione per i pochi colpevoli, si finisce con l’omologare nella colpa chi è innocente a chi non lo è?
In ogni caso, da oggi la classe politica dovrebbe avere maggiore difficoltà a eludere la questione. Ancora una volta tocca alla Corte europea dei diritti umani richiamarci ai nostri obblighi internazionali. Con la decisione di oggi l’Italia non è stata condannata solo per le responsabilità specifiche di chi inflisse maltrattamenti e torture al signor Cestaro e ai suoi compagni di sventura, né solo per le responsabilità di chi ordinò, coprì e giustificò quelle violenze.
L’Italia è stata condannata anche per l’assenza di rimedi giurisdizionali interni: per il fatto, cioè, che le vittime di quelle torture non hanno potuto avere giustizia davanti alle corti nazionali. E non certo per negligenza della magistratura, ma semplicemente perché l’ordinamento giuridico italiano non prevede il reato di tortura.
A questo punto la classe politica e le istituzioni non possono più sfuggire ai loro doveri: come per il sovraffollamento penitenziario, si deve adempiere alle richieste della Corte europea. In questi giorni alla camera è in discussione la proposta di legge istitutiva del reato di tortura già approvata dal senato. Non è più possibile girarci intorno.

martedì 7 aprile 2015

CONTROLLO METEOROLOGICO? APRIAMO GLI OCCHI



E' appena passata Pasqua: freddo polare, pioggia, vento gelato. Scherzando (ma non troppo) la gente per strada si augurava "Buon Natale!". C'è stato anche chi ha osservato che ormai da anni a Pasqua il tempo è brutto... stranezze.... Stranezze che non si spiegano, considerando che il giorno di Pasqua, come tutti sanno, non è un giorno fisso, il periodo preciso in cui cade può oscillare anche di molto; eppure il dio del Tempo sembra sapere esattamente quando infierire. Diventa meno casuale e strano, se si è un pò più attenti e si osserva il cielo 3 o 4 giorni PRIMA della festa. Accade così di vedere apparire magicamente i piccoli aerei che, solcando il cielo con continuità, disegnano griglie con le famose scie... chimiche? Nooo!! - dicono in tanti - sono solo le scie "normali" degli aerei!! Sarà. Ognuno sceglie cosa vuole vedere e cosa no, a cosa credere e a cosa no, come vuole guardare il mondo. Per quel che mi riguarda, temo di essere d'accordo con Fabio Mini, non un blogger complottista, badate, ma un generale dell'esercito italiano che, in un suo intervento, afferma delle cose interessanti. Ecco un estratto dell'intervista:
"[...] la guerra ambientale è in atto (come già affermato in un articolo del 2007  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17573 n.d.r.) [....] le forze della natura sono adoperate e piegate come strumento ed arma. [....]
La guerra all’ambiente è proibita  da una Convenzione ONU del 1977 che vieta “l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità”. Questo non può certo rassicurare, dice Mini, il 90% delle cose vietate dall’ONU vengono regolarmente messe in pratica. I militari hanno già la capacità di condizionare l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta. [....]
Lo studio dell’aeronautica militare statunitense “Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025” del 1995,  delineava i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del tempo meteo a livello globale. Secondo Mini gli obiettivi in esso delineati non parlavano di possedere il clima, ma di possedere in un determinato luogo, in un determinato momento il controllo del meteo, lo spazio atmosferico, per condurre operazioni belliche: per esempio, spiega il generale, irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle. Si tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di quello studio, siamo piuttosto vicini al traguardo del 2025.
Le aspirazioni di scienziati e militari però non finiscono qui, aggiunge, c’è a chi non basta la possibilità di manipolare localmente e momentaneamente, per scopi ben definiti, il meteo. C’è chi indaga su alterazioni di lunga durata e di ampia portata (lo conferma ad es. l’articolo dello stratega militare Gordon MacDonald in “How to wreck the environment” pubblicato negli anni sessanta e che sarà tradotto e pubblicato su questo sito, ndr).
Il generale focalizza l’attenzione su un aspetto importante; riferendosi alla Teoria del Caos elaborata negli anni ’60 dal meteorologo Lorenz, si dice convinto che mai e poi mai avremo le conoscenze a sufficienza per verificare le effettive conseguenze di una modificazione. Se c’è qualcuno che trae un vantaggio da una modificazione meteo, dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è detto che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche catastrofiche (Lorenz lo chiama Effetto Farfalla). Proprio in quegli anni si comincia a pensare non solo di cambiare il tempo meteo, ma di creare una situazione permanente e quindi di cambiare il clima. Così qualcuno inizia a pensare: cosa rende l’Europa prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del golfo del Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare  come modificare questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si può fare’[....] 
Non ci sono vincoli, non ci sono regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà.
Ma chi è questo qualcuno? Da chi scaturisce quella volontà politica che sta alla base della catena di comando? In riferimento a questo il Generale mette in evidenza il decrescente, o quasi nullo, ruolo degli stati, a vantaggio di non meglio identificate ‘bande’, costituite da persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali. 
[....] -Ruolo degli stati nella definizione della minaccia: ZERO. Non sono gli stati a decidere, a individuare o prevedere le minacce. Sono altri che fanno le analisi. Fare le valutazioni della minaccia vuol dire fornire le indicazioni per la politica e questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti. [....] 
-Quante civiltà? Il multipolarismo è fondamentale per gli equilibri umani, nel mondo siamo ridotti ad avere due civiltà, quando si parla di due si parla di una contrapposizione permanente. La famosa teoria dello scontro di civiltà prefigura uno scontro globale tra la cultura giudaico-cristiana e quella musulmana. Una balla immensa, dice Mini, che però è il faro politico di tutte le relazioni internazionali [....]
Come si sfrutta l’ambiente come arma? Non solo con le modifiche meteorologiche, ma anche,  tramite la negazione delle informazioni (l’assenza alla conferenza di qualsiasi media ne è un piccolo esempio, ndr). Non c’è solo la disinformazione sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama denial of service. Si stabilisce che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione. Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle informazioni. Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo: l’informazione sul suo arrivo era disponibile ma interruzioni nella trasmissione dati a causa di anelli mal-funzionanti, o volutamente non funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione. Negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale.
 Un altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema HAARP. Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, si può incidere globalmente andando a creare dei punti più caldi o più freddi artificialmente e quindi modificando il clima interferendo anche sulle correnti. [....]
Le scie chimiche?[....] …ci dobbiamo opporre”.
Per il testo integrale dell'intervista vai qui: http://www.nogeoingegneria.com/interviste/gen-fabio-mini-a-firenze/
questo il video

... e per non lasciarti solo con la sensazione, poco utile, dell'impotenza, leggi sulle scie chimiche anche qui!!

Trasformazione creativa


lunedì 9 marzo 2015

E' tempo di svegliarsi


Ho poco da aggiungere a queste considerazioni di Ercolani se non che, a più di un anno di distanza da quando sono state scritte, dobbiamo tristemente constatare che non è cambiato nulla, anzi... personalmente aderisco in pieno al tono amaro dell'articolo, ma leggete e considerate la cosa dal vostro punto di vista; chissà che abbiate una visione più ottimistica rispetto alla mia. Resto convinta in ogni caso della necessità -  se non altro etica - da parte di ognuno di noi di ritrovare dignità e coraggio per testimoniare il dissenso rispetto alla visione medioevale del mondo che sta portando la bellezza e l'evoluzione dell'uomo verso un lento suicidio; assistito, anche, dal nostro ignavo silenzio.


Tre gradini per il baratro


di Paolo Ercolani  


È inu­tile girarci intorno. Tre sono i gra­dini che pote­vano con­durre il nostro Paese nel bara­tro. Ed è bene sapere che li abbiamo già per­corsi tutti e tre con appa­rente e beata inco­scienza. 

Il primo è quello della deriva etico-morale
Un Paese che non è riu­scito a tra­smet­tere ai pro­pri cit­ta­dini il senso della res publica, quindi del bene col­let­tivo e del patri­mo­nio nazio­nale; un Paese che non sa creare le con­di­zioni e le dina­mi­che per­ché fra i suoi abi­tanti, nei vari gan­gli vitali della sfera sociale, pos­sano emer­gere i più pre­pa­rati, i più volen­te­rosi, i più meri­te­voli, pro­prio per­ché anche così possa sal­vaguar­darsi e cre­scere lo stesso bene comune, ebbene que­sto Paese è già morto. È come una stella di cui ancora vediamo la luce pur sapendo che in realtà si è già spenta, e per que­sto non potrà con­ti­nuare a esi­stere nella rin­no­vata costel­la­zione. La poli­tica degra­data al livello del più bieco affa­ri­smo rap­pre­senta sol­tanto la punta estrema, più cla­mo­rosa e visi­bile, di un ice­berg che affonda ben in pro­fon­dità le sue radici, coin­vol­gendo tutti quei «cit­ta­dini» che i nuovi popu­li­smi vor­reb­bero dipin­gere come puri e incon­ta­mi­nati. Al punto che anche solo a uti­liz­zare ter­mini come «etica» e «morale» si fini­sce tac­ciati di inge­nuità, idea­li­smo, uto­pia. Eppure non sarò io, da filo­sofo, ad abdi­care al dovere umano e sociale di richia­mare l’urgenza, e per­sino la vera e pro­pria emer­genza, di un Paese che ha un biso­gno estremo di risco­prire, ridi­se­gnare e rior­ga­niz­zare il pro­prio impianto etico e morale. Certo, que­sto passa neces­sa­ria­mente per un serio pro­getto cul­tu­rale. Ma qui arri­viamo al 

secondo gra­dino. Quello della deriva pedagogico-culturale
Non ci giro intorno nean­che in que­sto caso: per me che svolgo esami uni­ver­si­tari con cadenza rego­lare è fin troppo facile, e penoso, regi­strare il fatto che, per esem­pio, sem­pre più stu­denti fati­cano enor­me­mente, e quindi spesso rinun­ciano, a leg­gere i libri di testo. Non è sol­tanto che poli­ti­che scia­gu­rate e decen­nali hanno impo­ve­rito e mar­gi­na­liz­zato la scuola; né che la com­mer­cia­liz­za­zione sel­vag­gia e incon­trol­lata dell’informazione e della comu­ni­ca­zione in genere ci ha con­dotto ad avere, per esem­pio (ma il discorso può essere esteso a tutto il «quarto potere»), una tele­vi­sione la cui pro­gram­ma­zione è diven­tata via via sem­pre più sca­dente, vol­gare e disin­te­res­sata agli effetti cul­tu­rali (e cogni­tivi!) che pro­du­ceva nei con­fronti dell’opinione pub­blica. C’è un terzo dato, per­lo­più igno­rato ma in realtà gra­vis­simo: la deriva cul­tu­rale e il pro­cesso di com­mer­cia­liz­za­zione sono stati così forti e per­va­sivi che, in buona sostanza, di fronte alla com­parsa della più grande inven­zione della con­tem­po­ra­neità, cioè Inter­net, si è del tutto rinun­ciato a pen­sare ad ogni minima forma di edu­ca­zione cri­tica al mezzo e di resi­stenza «uma­ni­stica» rispetto alle degra­da­zioni che il mezzo stesso pro­du­ceva. Soprat­tutto nei con­fronti delle gio­va­nis­sime gene­ra­zioni. È signi­fi­ca­tivo il fatto che a nes­suno mai ver­rebbe in mente di far affron­tare la vita a un bam­bino, senza che la scuola gli abbia potuto for­nire alcuni stru­menti. Eppure, per la vita vir­tuale (e sap­piamo bene che vir­tuale non signi­fica affatto irreale, forse tutt’altro) si è coscien­te­mente e deli­be­ra­ta­mente rinun­ciato ad ogni ten­ta­tivo di edu­care e for­mare menti che, durante la pro­pria cre­scita, sapes­sero uti­liz­zare que­sti mezzi straor­di­nari man­te­nendo auto­no­mia di giu­di­zio, capa­cità cri­tica, carat­te­ri­sti­che spe­ci­fi­che dell’essere umano come, per esem­pio, la let­tura appro­fon­dita, lenta, in grado di sedi­men­tarsi e pro­durre cono­scenza dure­vole nell’individuo. Igno­rare tutto ciò ha com­por­tato la rea­liz­za­zione di quello che Kurt Von­ne­gut aveva descritto nel suo romanzo visio­na­rio del 1952 (Player Piano), lad­dove descri­veva una prima rivo­lu­zione che sva­lu­tava il «lavoro musco­lare» (agri­col­tori), una seconda che svi­liva quello «ordi­na­rio» (arti­giani), men­tre alla fine ci si tro­vava di fronte alla terza rivo­lu­zione, quella in grado di ren­dere super­fluo il pen­siero umano, cioè il «vero lavoro intel­let­tuale». A chi ha gio­vato tutto ciò? Chi, con molta pro­ba­bi­lità e con com­pli­cità evi­denti da parte di una poli­tica inde­gna di que­sto nome, ha bene­fi­ciato di tutto ciò e in qual­che modo se ne è fatto arte­fice?

Qui arri­viamo al terzo gra­dino, che al tempo stesso rap­pre­senta il filo rosso di col­le­ga­mento con gli altri due: quello di un Paese in cui si è con­sen­tito all’economia di dive­nire la scienza domi­nante, il sistema di valori più forte e indi­scu­ti­bile, la dimen­sione a cui votare tutto l’umano vivere e tutti gli sforzi sociali. All’economia ser­vono pro­dut­tori e con­su­ma­tori, non certo indi­vi­dui cri­tici e con­sa­pe­voli, for­niti di un baga­glio etico-morale che per­metta loro di cogliere la grande ric­chezza della vita umana al di là dei numeri, del pro­fitto e delle logi­che quan­ti­ta­tive in genere. Non ha destato lo scal­pore che avrebbe meri­tato, sen­tire Mario Monti che, da capo del governo, dichia­rava impu­ne­mente di tro­varsi lì per sod­di­sfare i mer­cati (invece che la qua­lità della vita dei cit­ta­dini che si tro­vava a gui­dare). 

Il nostro Paese que­sti gra­dini li ha scesi tutti e tre, con i risul­tati che sono sotto gli occhi di tutti. Non c’è e non ci sarà arti­colo 18, riforma del lavoro e della giu­sti­zia, né riforma costi­tu­zio­nale o fiscale che tenga, è bene sapere che non ci sarà riforma in asso­luto che potrà risol­le­varci se non sapremo risa­lire que­sti tre gra­dini, pro­vando a rico­struire l’impianto etico-morale, edu­ca­tivo e poli­tico del nostro Paese. Una poli­tica degna di que­sto nome dovrà saper ela­bo­rare un pro­gramma fat­tivo e con­creto in grado di affron­tare il bara­tro in cui ci hanno con­dotto que­ste tre derive. Dovrà saperlo fare in un ottica anche euro­pea, per ovvie ragioni, lad­dove l’Europa non potrà essere sol­tanto una fan­to­ma­tica entità finan­zia­ria che ci impone un rigore arit­me­tico e quan­ti­ta­tivo, ma anche un grande pro­getto di costi­tu­zione di una realtà in grado di tute­lare la qua­lità, il benes­sere e la spe­ci­fi­cità umana dei suoi cit­ta­dini. Una teo­ria che non trova sboc­chi sul ter­reno della realtà sociale è ste­rile tanto quanto una poli­tica che non sa darsi un pro­getto teo­rico e una mappa pro­gram­ma­tica risulta cieca, inef­fi­cace, inca­pace di inci­dere su un periodo più ampio. Pos­sono sem­brare ragio­na­menti idea­li­stici o per­sino uto­pi­stici, ma se per un attimo sol­tanto pen­siamo che essi rap­pre­sen­tano tutto ciò che da troppo tempo non fac­ciamo più, e di con­tro vediamo lo stato in cui ci siamo ridotti, beh, allora ci ren­diamo conto che se di uto­pia si tratta, è un’utopia quanto mai neces­sa­ria. Il corag­gio più grande risiede pro­prio nella forza e nella volontà di rispol­ve­rare un pro­getto appa­ren­te­mente desueto e idea­li­stico. Qui e ora!

il manifesto

http://ilmanifesto.info/storia/tre-gradini-per-il-baratro/


mercoledì 21 gennaio 2015

la tecnologia intelligente




Finalmente una buona notizia, finalmente un utilizzo serio e utile della ricerca tecnologica!


Grazie - con buona pace dei detrattori di Napoli - ai ricercatori del CNR della città campana, ritorniamo a parlare del tesoro: circa 1800 papiri carbonizzati dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.c. e rinvenuti in una villa di Ercolano, soprannominata appunto la Villa dei Papiri. 
I papiri, ritrovati nel lontano 1752 non sono mai stati esplorati al loro interno per evitarne la sgretolazione. A quanto pare però finalmente saremo in grado di conoscerne il preziosissimo contenuto, grazie ad una raffinata procedura di tecnica tomografica
Dalle primissime indagini pare che gli scritti possano essere ricondotti al I sec d.c. e attribuibili allo stesso filosofo epicureo Filodemo. 
Tutto ancora da verificare, e tutto da scoprire, ma intanto qualcosa di grande e bello esiste e si muove,  in questa società di morti viventi; intanto qualcosa arriva a donarci speranza di bellezza e saggezza del vivere. E' questa la direzione che auspico per l'Italia: essere un museo a cielo aperto, un giardino dell'eden, dono per il mondo intero.

  

lunedì 19 gennaio 2015

A PROPOSITO DI LIBERTA' DI ESPRESSIONE





Quante storie! Quante parole, in questi tristi giorni, sulla capacità dell'occidente di essere libero di esprimere le sue opinioni mentre "gli altri" vorrebbero zittirci, annichilirci con il loro asservimento ad una realtà fatta di sopraffazione e precetti di medievale memoria.
Peccato che siano parole, parole, parole... come cantava Mina con Alberto Lupo!

Non intendo difendere chi uccide per lo sberleffo in una vignetta, soprattutto non intendo entrare nel merito della questione terrorismo e della scabrosa vicenda di Charlie Hebdo, sulla quale tanto ci sarebbe da dire, ragionare, argomentare.
La mia considerazione si riferisce solo alla presunta e tanto sbandierata supremazia europea, per cui il diritto di parola è salvaguardato e difeso senza se e senza ma. 
Semplicemente, non è vero, almeno non in Italia. 
Alle già evidenti censure operate dalla stampa nazionale e dai media, alle reticenze quando non menzogne propinate da molta classe politica agli italiani, si aggiungono episodi eclatanti come quello della denuncia per istigazione a delinquere allo scrittore e pensatore (specie rara!) Erri de Luca. De Luca, da persona intelligente, coerente e libera, asserisce di essere responsabile di aver pronunciato parole contrarie alla TAV, ma rifiuta di discolparsi, appellandosi invece all'art. 21 della Costituzione Italiana che esordisce così:   



"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione."


Fantastico. Bisognerebbe stampare l'epitaffio a lettere d'oro nella pubblica piazza, così, giusto per rimembranza...


Intanto Erri de Luca, attraverso un piccolo pamphlet dal titolo "la parola Contraria", rispedisce al mittente l'accusa di sabotaggio, affermando che è lui a subire il sabotaggio della sua libertà di espressione, e nello specifico di usare la parola "sabotaggio" secondo i poliedrici significati che il vocabolario italiano attribuisce al termine. Soprattutto, è impedito nell'esercizio dell'utilizzo della "parola contraria", dell'opinione avversa allo status quo e ai potentati economico/politici, che gestiscono la vita delle genti e delle terre senza alcuna reale dialettica etica.    

Questa piccola vicenda, emblematica, ci ricorda che esistono varie forme di autocrazia e che non è tutto oro quello che luccica. Le azioni eclatanti - come le limitazioni di libertà di alcuni regimi, paesi, correnti di pensiero religiose e non - in quanto tali, scuotono le coscienze e fanno gridare, giustamente, all'orrore. Hanno un unico pregio: sono sincere, si mostrano per quello che sono, da esse si possono prendere le distanze. Così non è, quando il regime si ammanta di falsa democrazia, riducendo la stessa ad un guscio vuoto, nel quale l'uomo si perde, smarrito, alla ricerca di una verità nascosta da mille specchi.