mercoledì 8 aprile 2015

LA LEGGE DEL PIU' FORTE

PERCHE' IN ITALIA TUTTI HANNO PAURA DELLA POLIZIA


E' il titolo dell'articolo di Luigi Manconi, a seguito delle sanzioni che l'Unione Europea ha applicato all'Italia per le violenze perpetrate dai poliziotti alla Diaz di Genova nei giorni del G8. 
Non commento, è inutile. Che ognuno legga e valuti.

A volte, come per miracolo, la letteratura giuridica, specie nei suoi elaborati internazionali, raggiunge vette di nitore assoluto. E la limpidezza delle formulazioni assume una esattezza matematica. Tale è il caso della definizione che si trova nell’articolo 1 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 e ratificata dall’Italia nel 1988. Leggiamo quelle parole:
Il termine ‘tortura’ indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate.
C’è tutto in questa definizione. Ma si noti, in particolare, la rilevanza data a quelle che vengono dette “sofferenze mentali”, dove si ritrova l’intera storia degli universi concentrazionari creati dai dispotismi del novecento; e l’uso antiumano delle moderne discipline della psiche, piegate a strumenti di coazione e di annichilimento della personalità.
Le lesioni fisiche precedono, accompagnano e seguono le parole e gli atti che mirano a coartare o a manipolare la volontà del torturato e a mortificarne la dignità. Ma vivono, quelle violenze “mentali”, anche di una loro autonomia: ovvero non necessitano del parallelo ricorso alla costrizione fisica per risultare efficaci.
Quel termine appena sopra ricordato – dignità, appunto – corre sotterraneo tra le righe della definizione di tortura prima citata e diventerà, negli anni successivi, pietra angolare e cartina di tornasole nell’intero dibattito contemporaneo sui diritti fondamentali e sulla loro violazione.
La domanda a questo punto ineludibile è: perché tutto questo non vale per il nostro paese? Perché l’Italia, dopo ventisette anni dalla ratifica della convenzione dell’Onu, non ha ancora introdotto nell’ordinamento il reato di tortura? La prima risposta è semplicissima. Perché la società italiana nel suo complesso – classe politica compresa – ha paura della polizia. Sì, è proprio così. Non teme le forze di polizia in quanto strumento di repressione della illegalità e del crimine e in quanto titolari esclusivi del monopolio legittimo della forza. Se così fosse, ad averne timore sarebbero solo coloro che vivono nella illegalità e nel crimine (tutto sommato una piccola percentuale di cittadini).
Il fatto grave, che spiega tante cose e anche la mancata introduzione del reato di tortura, è che resiste nel paese, e nei suoi gruppi dirigenti, una forma diffusa di preoccupazione non per ciò che le polizie, in nome e in forza della legge, possono compiere, ma per ciò che possono compiere contro la legge.
È come se la classe politica, in particolare, non si fidasse della lealtà delle polizie, dubitasse della loro dipendenza in via esclusiva dalla legge, ne temesse le reazioni incontrollate. Da qui, una sorta di complesso di inferiorità e di sudditanza psicologica che pone come prioritario l’obiettivo della stabilità e della compattezza delle stesse forze dell’ordine, anche quando ciò vada a discapito della correttezza e della piena legalità del loro agire. Si tratta di un meccanismo micidiale che alimenta lo spirito di corpo e impedisce la trasparenza, che rafforza le tendenze all’omertà e ostacola qualunque processo di seria autoriforma.
Non si spiega altrimenti l’opposizione da parte dei membri delle forze di polizia e dei loro sindacati e, forse ancor più, da parte dei ministri dell’interno, della difesa e di tanti esponenti politici, all’introduzione del reato di tortura e del codice identificativo per gli operatori di polizia in servizio di ordine pubblico (misure adottate nella gran parte dei paesi europei).
Come non capire che tortura e codice identificativo sono dispositivi a tutela del prestigio del corpo e dell’onore della divisa e contro quegli uomini in divisa che disonorano il corpo cui appartengono? È interesse, in primo luogo delle polizie, partendo dall’assunto che la responsabilità penale è personale, far sì che gli autori di illegalità e violenze siano individuati e sanzionati in maniera adeguata allo scopo di distinguerli nettamente dalla gran parte dei loro colleghi che, di illegalità e violenze, non si son resi in alcun modo responsabili.
Come non capire che negando la possibilità di individuazione e di sanzione per i pochi colpevoli, si finisce con l’omologare nella colpa chi è innocente a chi non lo è?
In ogni caso, da oggi la classe politica dovrebbe avere maggiore difficoltà a eludere la questione. Ancora una volta tocca alla Corte europea dei diritti umani richiamarci ai nostri obblighi internazionali. Con la decisione di oggi l’Italia non è stata condannata solo per le responsabilità specifiche di chi inflisse maltrattamenti e torture al signor Cestaro e ai suoi compagni di sventura, né solo per le responsabilità di chi ordinò, coprì e giustificò quelle violenze.
L’Italia è stata condannata anche per l’assenza di rimedi giurisdizionali interni: per il fatto, cioè, che le vittime di quelle torture non hanno potuto avere giustizia davanti alle corti nazionali. E non certo per negligenza della magistratura, ma semplicemente perché l’ordinamento giuridico italiano non prevede il reato di tortura.
A questo punto la classe politica e le istituzioni non possono più sfuggire ai loro doveri: come per il sovraffollamento penitenziario, si deve adempiere alle richieste della Corte europea. In questi giorni alla camera è in discussione la proposta di legge istitutiva del reato di tortura già approvata dal senato. Non è più possibile girarci intorno.

martedì 7 aprile 2015

CONTROLLO METEOROLOGICO? APRIAMO GLI OCCHI



E' appena passata Pasqua: freddo polare, pioggia, vento gelato. Scherzando (ma non troppo) la gente per strada si augurava "Buon Natale!". C'è stato anche chi ha osservato che ormai da anni a Pasqua il tempo è brutto... stranezze.... Stranezze che non si spiegano, considerando che il giorno di Pasqua, come tutti sanno, non è un giorno fisso, il periodo preciso in cui cade può oscillare anche di molto; eppure il dio del Tempo sembra sapere esattamente quando infierire. Diventa meno casuale e strano, se si è un pò più attenti e si osserva il cielo 3 o 4 giorni PRIMA della festa. Accade così di vedere apparire magicamente i piccoli aerei che, solcando il cielo con continuità, disegnano griglie con le famose scie... chimiche? Nooo!! - dicono in tanti - sono solo le scie "normali" degli aerei!! Sarà. Ognuno sceglie cosa vuole vedere e cosa no, a cosa credere e a cosa no, come vuole guardare il mondo. Per quel che mi riguarda, temo di essere d'accordo con Fabio Mini, non un blogger complottista, badate, ma un generale dell'esercito italiano che, in un suo intervento, afferma delle cose interessanti. Ecco un estratto dell'intervista:
"[...] la guerra ambientale è in atto (come già affermato in un articolo del 2007  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17573 n.d.r.) [....] le forze della natura sono adoperate e piegate come strumento ed arma. [....]
La guerra all’ambiente è proibita  da una Convenzione ONU del 1977 che vieta “l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità”. Questo non può certo rassicurare, dice Mini, il 90% delle cose vietate dall’ONU vengono regolarmente messe in pratica. I militari hanno già la capacità di condizionare l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta. [....]
Lo studio dell’aeronautica militare statunitense “Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025” del 1995,  delineava i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del tempo meteo a livello globale. Secondo Mini gli obiettivi in esso delineati non parlavano di possedere il clima, ma di possedere in un determinato luogo, in un determinato momento il controllo del meteo, lo spazio atmosferico, per condurre operazioni belliche: per esempio, spiega il generale, irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle. Si tratta della possibilità di destabilizzare una regione o paese, in qualsiasi parte del mondo. Oggi, a 17 anni dalla pubblicazione di quello studio, siamo piuttosto vicini al traguardo del 2025.
Le aspirazioni di scienziati e militari però non finiscono qui, aggiunge, c’è a chi non basta la possibilità di manipolare localmente e momentaneamente, per scopi ben definiti, il meteo. C’è chi indaga su alterazioni di lunga durata e di ampia portata (lo conferma ad es. l’articolo dello stratega militare Gordon MacDonald in “How to wreck the environment” pubblicato negli anni sessanta e che sarà tradotto e pubblicato su questo sito, ndr).
Il generale focalizza l’attenzione su un aspetto importante; riferendosi alla Teoria del Caos elaborata negli anni ’60 dal meteorologo Lorenz, si dice convinto che mai e poi mai avremo le conoscenze a sufficienza per verificare le effettive conseguenze di una modificazione. Se c’è qualcuno che trae un vantaggio da una modificazione meteo, dall’altra ci sarà qualcun altro che ne subisce un danno, e non è detto che lo paghi in termini lineari, con conseguenze anche catastrofiche (Lorenz lo chiama Effetto Farfalla). Proprio in quegli anni si comincia a pensare non solo di cambiare il tempo meteo, ma di creare una situazione permanente e quindi di cambiare il clima. Così qualcuno inizia a pensare: cosa rende l’Europa prospera e le garantisce un clima favorevole? La corrente del golfo del Messico. Bene, allora qualcuno si è messo a studiare  come modificare questa corrente. Non solo, ma qualcuno ha iniziato a chiedersi: possiamo provocare un terremoto? Qualcuno ha risposto ‘si può fare’[....] 
Non ci sono vincoli, non ci sono regole, se c’è la possibilità di farlo ‘qualcuno’ lo farà.
Ma chi è questo qualcuno? Da chi scaturisce quella volontà politica che sta alla base della catena di comando? In riferimento a questo il Generale mette in evidenza il decrescente, o quasi nullo, ruolo degli stati, a vantaggio di non meglio identificate ‘bande’, costituite da persone, associazioni e corporazioni, coaguli di potere che non hanno nessun interesse istituzionale, ma conseguono solamente il proprio interesse, e nel nome di esso sono disposte a mandare in crisi un sistema per modificarlo a proprio vantaggio, utilizzando mezzi illegali e legali. 
[....] -Ruolo degli stati nella definizione della minaccia: ZERO. Non sono gli stati a decidere, a individuare o prevedere le minacce. Sono altri che fanno le analisi. Fare le valutazioni della minaccia vuol dire fornire le indicazioni per la politica e questa prerogativa non è più nelle mani degli Stati, neanche di quelli forti. [....] 
-Quante civiltà? Il multipolarismo è fondamentale per gli equilibri umani, nel mondo siamo ridotti ad avere due civiltà, quando si parla di due si parla di una contrapposizione permanente. La famosa teoria dello scontro di civiltà prefigura uno scontro globale tra la cultura giudaico-cristiana e quella musulmana. Una balla immensa, dice Mini, che però è il faro politico di tutte le relazioni internazionali [....]
Come si sfrutta l’ambiente come arma? Non solo con le modifiche meteorologiche, ma anche,  tramite la negazione delle informazioni (l’assenza alla conferenza di qualsiasi media ne è un piccolo esempio, ndr). Non c’è solo la disinformazione sull’ambiente, ma c’è una pratica militare che si chiama denial of service. Si stabilisce che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione. Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle informazioni. Lo tsunami indonesiano è ancora uno scandalo: l’informazione sul suo arrivo era disponibile ma interruzioni nella trasmissione dati a causa di anelli mal-funzionanti, o volutamente non funzionanti, ne hanno impedito la comunicazione. Negare l’informazione è già un atto di guerra fondamentale.
 Un altro aspetto è emblematicamente rappresentato dal sistema HAARP. Invece di influire sull’ambiente a carattere solo locale, si può incidere globalmente andando a creare dei punti più caldi o più freddi artificialmente e quindi modificando il clima interferendo anche sulle correnti. [....]
Le scie chimiche?[....] …ci dobbiamo opporre”.
Per il testo integrale dell'intervista vai qui: http://www.nogeoingegneria.com/interviste/gen-fabio-mini-a-firenze/
questo il video

... e per non lasciarti solo con la sensazione, poco utile, dell'impotenza, leggi sulle scie chimiche anche qui!!

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