domenica 16 novembre 2014

un cambiamento epocale: la Toscana blocca il consumo di suolo




Cambiare si deve e si può. Ce lo testimonia la regione Toscana, non un ente privato, bensì un'apparato statale come tutte le nostre regioni, con qualcosa in più e qualcosa in meno delle altre: probabilmente meno servilismo al sistema, probabilmente più coraggio. O forse, semplicemente, più intelligenza. Perchè è ovvio che la salvaguardia della  ricchezza di un territorio, che per paesaggi e produzioni agroalimentari è famoso nel mondo, non è solo una faccenda ideologica, ma una scelta di buon senso dal punto di vista di sviluppo economico.  
Torniamo però alla buona notizia: la regione Toscana ha approvato una legge che vieta - non chiede di contenere -  VIETA, il consumo di suolo.
Si, avete capito bene. Una straordinaria legge urbanistica, operativa subito, che finalmente segna una svolta epocale, mettendo in primo piano, senza se e senza ma, la salvaguardia ambientale.  
La formulazione della legge sembra essere semplice: la legge impone a ciascun Comune di distinguere nel proprio territorio due parti: 1) la parte urbanizzata 2) la parte non urbanizzata. Impone quindi di costruire solo all'interno del perimetro urbanizzato. Stop. (Naturalmente questa è una semplicistica sintesi, sulla base di quello che io ho compreso, senza soffermarmi sui codicilli . Per chi fosse interessato qui il testo della legge e approfondimenti.)

Questo, oltre a salvaguardare la terra ancora esente da cementificazione (ma lo sapete che negli ultimi 60 anni il consumo di suolo è cresciuto del 1000 %?), raggiunge un altro fondamentale obbiettivo: quello di aprire la porta ad un nuovo modo di concepire la realtà che ci circonda e l'economia dei nostri paesi: parlo di portare alla centralità della visione concetti come recupero, riconversione, riutilizzo, trasformazione, riqualificazione... in pratica potenzialmente si spalanca un mondo di opportunità nuove che occhieggiano, finalmente, al concetto semplice quanto ignorato della salvaguardia del pianeta e della riprogettazione del nostro modo di vivere e consumare risorse e beni. 
Proviamo ad immaginare se tutte le regioni italiane adottassero un simile provvedimento... Intanto la Toscana ci mostra la strada, (non è la prima volta, guarda anche qui) testimoniando che se si vuole, si può.


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Proprietario del territorio che abito

sabato 8 novembre 2014

ripensiamo il lavoro: una società eco-solidale

Nuova coscienza. 
Per crearla bisogna informarsi, pensare con la propria testa, valutare... e poi




"... Se penso  alla quantità e alla qualità di patrimonio storico e archeologico lasciato in abbandono o minacciato da speculazioni in regioni come la Sardegna, la Sicilia, la Calabria, la Campania, il Lazio non c’è dubbio che tocchiamo un nervo esposto di un Paese incapace di comprendere l’importanza e l’interesse della sua complessa e sfaccettata identità storica e di tradurla in un’attività culturale presente e in una possibile conservazione e fruizione rispettosa. Un discorso analogo vale per la ricchezza del patrimonio ambientale. Come è noto l’Italia è uno dei territori più ricchi di biodiversità dell’intera Europa: ospita circa il 43 per cento della fauna e della flora europea e circa il 4 per cento di quella mondiale. Ma è anche uno dei paesi più esposti in Europa al degrado degli ecosistemi e dunque alla perdita di biodiversità.
Credo d’altra parte che ci sia un motivo per cui non si è investito in quei settori. Non si è trattato di una semplice dimenticanza. Il motivo è che da un punto di vista simbolico il solo valore che conta in una società ispirata all’ideologia della crescita è il lavoro produttivo, sbrigativamente identificato con quello che genera rapidamente capitale da reinvestire e con quello che predispone all’ulteriore espansione del consumo. Non conta sottolineare che questi settori contribuiscono a produrre ricchezza non solo in senso immateriale ma anche materiale. È nel nostro immaginario che questi settori sono improduttivi. Come improduttive sono ritenute tutte le attività rivolte alla rigenerazione e alla manutenzione della vita e della comunità. La questione riguarda dunque in primo luogo come far fiorire queste attività nel nostro immaginario. Come riconoscere quella ricchezza e valorizzarla.
Il problema con cui la nostra società si confronta oggi non è la carenza di lavoro nel senso di possibili attività umane volte a conservare, consolidare o accrescere il benessere individuale e collettivo. Il problema riguarda piuttosto la divaricazione tra attività lavorative e reddito, e d’altra parte la divaricazione tra la diminuzione delle fonti di reddito e la crescente dipendenza dalla moneta per garantire il sostentamento proprio e della propria famiglia. Ovvero la realtà della “scarsità di lavoro” e contemporaneamente l’aumento dei working poors (persone che lavorano sempre di più ma che non ce la fanno a mantenersi) è – contrariamente a quanto si pensa – un effetto della modernità, della crescita e dello sviluppo e non un semplice effetto di una congiuntura economica sfavorevole.
Dunque la possibilità di inventare nuove forme del lavoro fuori dalla “società del lavoro” richiede di accettare di confrontarsi senza soggezione con un lavoro informale, con un lavoro de-mercificato, de-salarizzato, ri-localizzato, inventando modalità e soluzioni nuove che mettono insieme lavoro, attività, cura, tutela dei beni comuni, volontariato, formazione, scambio, produzione, riproduzione, autoproduzione, condivisione, redditi e benefici in forme e configurazioni differenti, ibride, plurali, in cui le vite, le esperienze, le differenze siano centrali e non accessorie. In altre parole non si tratta solo di inventare nuovi posti di lavoro ma di ripensare radicalmente l’idea di lavoro e di benessere (o ben vivere) nella nostra testa.
Da questo punto di vista si può riflettere sulla proposta di Alberto Castagnola di partire dai gruppi, comitati o coordinamenti locali più che attendere iniziative istituzionali dall’alto che potrebbero non arrivare mai. Si tratterebbe – secondo la sua ipotesi – di incontrarsi e individuare i beni comuni del proprio territorio che si vuole prendere in cura per elaborare un piano di intervento. Dunque si metterebbe in atto una mobilitazione e un lavoro senza retribuzione, a carattere volontario, perlomeno all’inizio del processo, in modo da far emergere l’importanza di singole azioni o progetti o di specifici settori di intervento valorizzando in questo modo sia i lavoratori che il patrimonio collettivo di una comunità. Lo scopo è creare una partecipazione dal basso e di mostrare un’alternativa alla sindrome della crisi economica, della mancanza di fondi, dell’atteggiamento passivo verso le istituzioni pubbliche e rappresentative. Questo tipo di temi potrebbero e dovrebbero entrare dentro alla discussione delle Reti di economia solidale, dentro alle esperienze dei Gas e più ancora dei Des (Distretto di Economia Solidale)"
estratto da: Usciamo dalla società del lavoro di Marco Deriu

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domenica 2 novembre 2014

Nonna ti spiego la crisi economica



Semplice spiegazione, forse anche a tratti volutamente generica, per inquadrare la situazione nella quale si trovano la popolazione italiana e le popolazioni europee nel complesso. Personalmente, non essendo una economista, non entro nei dettagli tecnici. Mi limito ad osservare che il contenuto dell'articolo coincide sinistramente con la mia storia, che mi vede testimone dagli anni '70 ad oggi della politica economica di questo paese e della quota di pecunia nelle mie tasche borghesi, e ha parecchio a che fare con quello che sento essere vero da molti anni, al di là delle teorie complottiste e non.
Bene, detto ciò, leggi e valuta... quello che conta è l'apertura mentale, la dialettica costruttiva e il porsi domande.

  In una Nazione ci sono il settore pubblico ed il settore dei cittadini privati. Non ci sono altri settori. Ora, nonna, immagina questi due settori come due contenitori, due cassetti. Entrambi contengono ricchezze, cioè palazzi, terre, case, fabbriche, attività. Entrambi, quindi, contengono denaro.
Bene. Prendi il contenitore dei cittadini privati, ad esempio un negoziante che ha venduto un paio di scarpe: tutto quello che è accaduto è che un cliente ha speso i soldi per le scarpe; i soldi che il negoziante guadagna sono sempre soldi che qualcun altro ha speso (perduto), quindi la ricchezza in denaro che sta nel contenitore “cittadini privati” gira sempre in tondo, passa dalle tasche di uno a quelle dell’altro. Questo significa che noi cittadini privati con tutto quello che facciamo e produciamo non siamo in grado DA SOLI di aumentare la quantità dei soldi totali che girano nel nostro contenitore. Ci vuole qualcuno che sta FUORI dal contenitore dei cittadini privati e che metta dentro il contenitore dei soldi NUOVI. E chi c’è là fuori che può fare questo? Solo due figure: il governo, col suo contenitore e il suo denaro, e le altre nazioni col loro denaro. Infatti se il governo decide di comprare qualcosa che si produce nel contenitore dei cittadini privati, succede che i soldi del governo verranno versati nelle tasche del cittadino privato che produce quella cosa SENZA che nessun altro cittadino abbia contemporaneamente speso (perso) un solo centesimo. Ecco nonna, che la ricchezza in denaro nel contenitore dei cittadini privati AUMENTA REALMENTE.
Opinione comune è che il governo così contrae debito. Ma non c’è nessun debito per noi cittadini!! Come funziona: lo Stato stampa quanta moneta vuole, (così faceva l’Italia e ancora oggi LO FANNO l’America il Giappone, la Svezia, insomma tutti gli Stati che hanno una loro moneta) e NON può fare bancarotta (detto anche fallimento o default). Un privato fa bancarotta se deve dei soldi a qualcun altro che glieli ha prestati. Ma lo Stato i soldi li inventa dal nulla, quindi li deve a se stesso, a differenza di quanto accade ai privati. Gli Stati Uniti hanno il conto in rosso da 200 anni, ed è sempre più alto ogni anno, cioè ogni volta che spendono dollari. Per lo Stato i soldi sono solo numeri, non sono soldi veri (quanto costa stampare le banconote, ovvero quanto costano i soldi? Il costo è dato dalla carta e dall’inchiostro per stampare le banconote; o dal metallo per coniare le monete; quindi parliamo di pochi centesimi. Addirittura il denaro non costa nulla quando i soldi si “muovono” tra conti correnti, perché sono solo “click” della tastiera del computer). I soldi servono solo per darci da vivere, lo Stato ce ne potrebbe dare a sufficienza per farci stare bene tutti. Il fatto che il debito dello Stato si chiami “pubblico” è una truffa. Una colossale truffa inventata da gente potente che ha tutto l’interesse a tenere sotto scacco sia noi cittadini privati che lo Stato. La spesa dello Stato che usa la sua propria moneta (la Lira nel caso dello Stato Italiano, i dollari o la sterlina o lo yen per gli altri Stati di cui abbiamo detto prima), non è mai il debito dei cittadini, bensì la loro ricchezza.



Vedi nonna, dagli anni ’70 in poi, grazie a degli accordi internazionali, fu deciso che gli Stati potevano creare le monete moderne dal nulla. Immagina, siamo nel 1971:
1) Lo Stato è democratico e quindi risponde ai cittadini
2) Lo Stato adesso può inventarsi i soldi dal nulla
3) Lo Stato può quindi creare lavoro per tutti, case per tutti, servizi per tutti, istruzione per tutti, pensioni buone per tutti.
Risultato? Può spendere per creare cittadini benestanti e istruiti che possono usare la democrazia. Il sistema “Stato che può spendere per i cittadini privati/noi cittadini privati che abbiamo la democrazia in mano” era la Gallina dalle Uova d’Oro dei popoli europei negli anni ‘70. E se i popoli se ne fossero resi conto, per le elite che detenevano il potere economico sarebbe stata la FINE. Se volevano conservare quel potere dovevano reagire!
Come hanno fatto a convincerci a cambiare rotta? Ecco lo schema:
1) una potenza economica privata enorme (multinazionali come Monsanto, Bayer, Exxon…) decide che farà montagne di soldi se un’idea qualsiasi convincerà tutti a fare una certa cosa
2) assume degli studiosi che strapaga, che dovranno scrivere dei trattati serissimi che dimostrino che quell’idea è fondamentale
3) si infiltra nei luoghi (es. Bocconi, Harvard…) dove studiano quelli che diventeranno importanti domani, quelli che comanderanno e li convince che quell’idea è fondamentale
4) per fare questo spende un sacco di soldi in congressi, incontri, in programmi in tv e articoli di giornale… oltre a cene, vacanze, regali ecc.
5) è noto che, ormai, gli ambienti di quelli importanti sono gli stessi dove bazzicano i politici, che sono per lo più ignoranti come delle sogliole e si bevono quello che i professoroni raccontano loro
6) il peso del mondo dei professoroni più quello dei politici ignoranti come sogliole si sommano per far diventare quella idea fasulla, voluta dalla potenza economica privata enorme, la regola nazionale per tutti. E addio democrazia.
Riassumendo: le elite di potere mondiale (guarda il video contenuto in questo post) avevano capito che lo Stato democratico, con una sua propria moneta, avrebbe potuto spendere per i cittadini e le aziende private al fine di renderli tutti più benestanti, moderni e istruiti. Ma cittadini che siano tutti benestanti, consapevoli e padroni del loro Stato democratico erano un pericolo mortale per le elite, che invece ci vogliono ignoranti, sempre in affanno per i soldi e spesso anche disperati, così loro possono fare i loro affari immensi, rubare la maggior parte della ricchezza comune e sentirsi superiori, potenti.
Così si sono inventati una serie di bugie:
1) lo Stato non deve spendere di più di quanto incassi con le tasse
2) la spesa dello Stato non è indispensabile per creare nuova ricchezza nel contenitore dei cittadini privati 3) se lo Stato spende meno, noi cittadini e aziende private saremo più ricchi.
Tutti ci siamo caduti. Non contente, le elite di potere hanno pensato che qui in Europa potevano addirittura sottomettere gli Stati con leggi più potenti delle leggi statali, cioè le leggi della UE, impedendo così agli Stati stessi di spendere per i propri cittadini togliendo loro le lire, i marchi, i franchi ecc. E si sono inventati prima l’Euro e poi la crisi. E’ chiaro quindi che quella che stiamo vivendo è proprio una Spirale di Crisi Imposta, non spontanea, non dovuta a un accidente dell’economia o a non si sa quale problema mondiale misterioso. E’ IM-POS-TA, è pilotata, e questo è veramente criminale, nonna.
A questo punto sorge una domanda: ma se poi noi andiamo tutti in rovina, loro cos’hanno da guadagnarci? Semplice:
1) i grandi industriali hanno deciso che vendere i loro prodotti da noi era una causa persa perché siamo troppo pochi, meglio dall’altra parte del mondo, Cina, India, Brasile, che hanno popolazioni molto più numerose
2) i grandi investitori hanno capito che comprando i servizi essenziali dello Stato (gas, acqua, energia…) possono strizzare dai cittadini denaro garantito (chi non ha bisogno di acqua, luce e gas?)
3) gli speculatori si sono inventati trucchi contabili strampalati per poter scommettere sulla sfortuna economica degli Stati e le super banche d’affari (Goldman Sachs, JP Morgan… mica la piccola banca che hai sotto casa!) con gli stessi trucchi hanno moltiplicato soldi fittizi mentre milioni di persone s’indebitavano.
Questo da 20 anni ha cambiato del tutto il volto delle economie tradizionali. Le elite di potere avevano bisogno di una crisi economica che facesse impoverire gli stati europei. Questo accadde e sta accadendo, infatti hanno scommesso contro la Grecia e hanno vinto, e ora scommettono contro l’Italia e vinceranno. Gli uomini che oggi scommettono contro l’Italia, e che la stanno ricattando nell’impotenza totale dei politici, non sono più di qualche decina. Loro qualche decina, noi 60 milioni di impotenti.
Liberamente tratto e riorganizzato da: “Nonna, ti spiego la crisi economica” di Paolo Barnard


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